#muro/confine

#muro/confine

Il grado di libertà di un uomo si misura dall’intensità dei suoi sogni . (Alda Merini )

Laddove c’è uno spazio (che sia fisico, mentale sociale), c’è un confine. I confini dello spazio possono essere attraversati, violati, oppure rispettati, oppure contestati, rinegoziati. I muri no. I muri sono la radicalizzazione del confine. I confini delimitano, i muri imprigionano sia chi li subisce, sia chi li costruisce. Un confine può anche essere utile a organizzare uno spazio, a strutturare una personalità, a definire una socialità, oltre il confine c’è l’altro e l’altrove nel quale possiamo entrare, con il quale possiamo dialogare, che possiamo conoscere. Il confine può essere una messa a valore della differenza, sconfinare può diventare un’occasione di confronto, e di crescita. L’empatia e l’amore sono esperienze di pacifico sconfinamento nello spazio di un altro. Il confine può essere una sfida. La sfida di un limite da superare. In fondo anche i sogni sono il superamento di un confine, per sognare occorre avere il coraggio di proiettarsi oltre il limite del reale che ci circonda.

Il muro circoscrive lo spazio fisico, sociale, culturale di chi è al di là e al di qua. Il muro è sempre una sconfitta, si può soltanto abbattere. Il confine rende invece questi spazi transitabili, implica un movimento oscillatorio di andata e ritorno, può capitare di sostare lungo un confine, né dentro né fuori, senza andare né restare, apolidi nella zona grigia. Tutti noi, prima o poi sperimentiamo la zona grigia, e da lì il confine diventa piuttosto una frontiera ad di là della quale c’è uno spazio nuovo da esplorare, o da conquistare, o da temere. La dimensione dentro-fuori può essere una zona franca di appartenenza/non appartenenza, essere/non essere dove sostiamo per vivere le nostre crisi, le nostre contraddizioni, ma proprio per questo può diventare uno spazio di elaborazione critica, di grande libertà. Nella società ipertecnologica, a comunicazione globale, ci sono nuovi confini, nuove dinamiche che stabiliscono il dentro e il fuori, che agiscono sulla nostra percezione rispetto a cosa vuol dire Interno o Esterno, creando altre esclusioni-inclusioni, relativamente ad uno spazio peculiare della contemporaneità: lo spazio virtuale. Così Luigi di Gregorio, politologo, (Demopatia, 2019): “ ..dato che la società dei consumi è una società globale e globalizzante, tutto ciò che si conforma ai modelli e agli standard consumistici è considerato Interno anche se fisicamente lontano da noi. Viceversa, tutto ciò che che non si conforma è considerato Esterno, anche se rappresenta realtà molto vicine a noi. Ecco perché diversi luoghi del pianeta contrariamente a quanto affermerebbe la dottrina della globalizzazione, sono in realtà fuori da ogni gioco mediatico, non coperti dai mezzi di comunicazione di massa e dunque fuori dalla portata della nostra percezione. ..Ciò che determina chi è in e chi è out è di nuovo il mix esplosivo società dell’immagine/società dei consumi: mass media e pubblicità.” Rispetto a questo esiste un nuovo spazio: lo spazio estetico deterritorializzato.

Nel linguaggio politico i muri sono ancora di attualità (sebbene sorpassati dalla storia). L’arte dal canto suo, spesso sconfina, portando l’opera e l’azione fuori dagli spazi deputati (musei e gallerie), annullando il confine tra arte e vita, analizzando (e riperimetrando) i confini nei quali viviamo, che siano psicologici, esistenziali, o geopolitici, evidenziando i nessi tra tutte queste dimensioni (e qualche volta facendo ironia sui muri)..

L’undici novembre 1970 (negli anni della contestazione e della guerra fredda) Allan Kaprow, realizzò l’happening A Sweet Wall, durante il quale costruì con un gruppo di amici un muro di pane e marmellata lungo 30 metri e alto un metro, proprio accanto al Muro di Berlino.

Sometimes doing something poetic can become political and sometimes doing something political can become poetic. Francis Alys

Questo il titolo della serie di azioni-performance-video di Francis Alys, un artista che con grande rigore e creatività, assume il rapporto tra poetica e politica per indagare in grandangolo il mondo contemporaneo. Poetica e politica si incontrano nei suoi interventi paradossali, aleatori, realizzati in varie parti del pianeta, e spesso costruiti partendo proprio dall’analisi di muri e confini, laddove rappresentano la demarcazione tra oppressi ed oppressori, oppure una frontiera con tutte le implicazioni psicologiche, sociali, religiose, economiche e politiche che la linea di demarcazione porta con sé. In The green Line, Alys porta la riflessione sulle varie riperimetrazioni arbitrarie da parte di Israele, rispetto alla linea di divisione stabilita nel 1949 (la green line, appunto), che hanno portato gli israeliani ad occupare nel 1967 gran parte del territorio palestinese. L’artista ripercorre il tracciato del confine arabo palestinese, stabilito e internazionalmente riconosciuto prima del 1967, deviando dai check-point, passando attraverso l’intrigato percorso delle stradine, tracciando i suoi passi con la vernice verde che lascia gocciolare da un barattolo che porta con sé. Attraversare a piedi, segnando per evidenziare la violazione dei confini del territorio arabo da parte di Israele (con l’occupazione della Cisgiordania e l’edificazione del muro nel 2002), vuol dire anche esperire poeticamente un territorio, con i suoi odori, colori, le sue particolarità, le stratificazioni storiche legate alla vita di un popolo nel suo territorio, cose che non si possono cancellare ed espropriare arbitrariamente. La mappatura fatta sul campo come forma di protesta contro la mappatura virtuale del potere.

La poetica può acquisire la potenzialità di sconfinare nella politica. Francis Alys

La linea di confine di Tijuana tra Messico e Stati Uniti, è un luogo che oltre a segnare la divisione di un territorio, simbolicamente rappresenta altre linee di demarcazione: tra povertà e benessere, sogni e illusione, speranza e disperazione. La diaspora dei messicani che attaversano la frontiera coniugando la disperazione di abbandonare la loro terra e la speranza di trovare una vita migliore, è rielaborata da Alys che raggiunge gli Stati Uniti seguendo una rotta perpendicolare alla linea di divisione facendo un viaggio di venti giorni, attraversando città e continenti. Annullare una linea troppo densa di drammi circumnavigando il mondo.

L’impossibilità di attraversare un confine per rientrare nello spazio delle proprie radici, la condizione dell’esilio è alla base della ricerca di Mona Haroum, artista libanese impossibilitata a rientrare in patria dal 1975 ( anno della guerra in Libano). Nella performance Under stage (1982) espone il proprio corpo nudo chiuso in un parallelepipedo di plastica trasparente. Il corpo separato a rappresentare una condizione interiore di separazione, un disagio che rappresenta un confine emotivo e psicologico.

Solo nell’Arte, a volte, i muri possono essere punti di partenza:

Da bambino la mia camera confinava con l’appartamento dei miei nonni materni e tutte le sere, prima di dormire, mia nonna mi dava la buonanotte bussando sul muro che ci divideva. E io rispondevo a mia volta.

Un giorno convinsi Gianni, un amichetto, a praticare con il cacciavite un buco in quel muro, per arrivare dall’altra parte. Nascosti sotto il letto, lavorammo per alcuni giorni e facemmo un discreto danno sul muro prima di essere scoperti. Mi diverte pensare che tutta la mia carriera di artista sia, in fine, nient’altro che una risposta alla frustrazione di quel buco che non arrivò mai dall’altra parte e per il quale arrivò invece un muratore a stuccare e ripristinare. Mi diverte pensare che è da allora che (da solo o con altri) ripeto l’esperienza di quel tentativo: andare a vedere cosa c’è dall’altra parte di un confine dato.

Cesare Pietroiusti , Muoversi nella bottiglia di Klein ovvero fare l’artista

Una risposta a #muro/confine

  • É cosí, l´arte diluisce limiti e confini e la politica alza muri e barriere.. grazie per questo articolo Patrizia!