Milano-Venezia. Roman Opalka: ogni giorno l’eternità.

Milano-Venezia. Roman Opalka: ogni giorno l’eternità.

Dell’unica e immensa opera di Roman Opalka forse non si deve scrivere..L’unica possibilità di accostarla è quella di avvicinarla e sentirla provando poi a raccontarne l’emozione..E’ l’incipit del testo critico Verso il Bianco di Chiara Bertola, curatrice della bella retrospettiva dedicata all’artista franco-polacco Roman Opalka, una delle figure più enigmatiche e originali nel panorama dell’Arte Contemporanea. E l’emozione inizia già dal percorso che siamo chiamati a fare dal progetto espositivo, Roman Opalka. Dire il Tempo, pensato in due tappe: Milano (Building Gallery) e Venezia (Fondazione Querini Stampalia). Due tempi di riflessione costruiti anche sulla capacità dei diversi luoghi espositivi di creare risonanze e diverse relazioni con l’opera dell’artista. Varcando le vetrine trasparenti incorniciate dal ferro della Building Gallery a Milano, si ha la sensazione di entrare in un tempio, l’immensa luce e il rigore dei suoi spazi bianchi hanno il silenzio e la spiritualità dello spazio sacro, perfetti per accogliere su quattro piani le opere fondamentali di Opalka, alcune esposte per la prima volta in Italia o mai esposte prima. Al piano terra ci troviamo subito di fronte all’enigma dei Détail, le tele concepite come frammenti di una sola opera, del suo progetto artistico Opalka 1965/1-, un programma portato avanti con il rigore di un esperimento scientifico, che ha occupato l’intera esistenza dell’artista. Opera unica che diventa conversione ad una missione che dovrà interrompersi solo con la morte: dipingere il tempo, iniziando a contare dal numero uno all’infinito. Dal 1965 al 2011 (anno della sua morte) l’artista ha dipinto con un pennello a punta fine la numerazione in bianco su tele a fondo nero. I numeri riempiono per intero la tela, affinché nessuna piccola parte sia esclusa dall’operazione. Quando una tela è satura, passa a dipingerne un’altra. La pittura è un credo, non si può interrompere– dichiara. Nel 1972 arrivato a contare il primo milione, comincia a schiarire il fondo nero del 1 %, per arrivare nel tempo a dipingere bianco su bianco.

Installation view della mostra Dire il Tempo-Roman Opalka, una retrospettiva. ©Roberto Marossi. Courtesy Building Gallery

Inoltre, registra la propria voce che enumera mentre dipinge, e alla fine di ogni giornata lavorativa scatta una foto in bianco e nero al proprio volto, sempre con la stessa camicia, concentrandosi per mantenere la stessa espressione nel tempo. Inquieta e affascina la vicenda umana e artistica che un’impresa così estrema, radicale, rappresenta. Lo stesso Opalka ha raccontato come all’inizio tutti pensassero che fosse impazzito, eppure erano gli anni della sperimentazione di tutti i linguaggi artistici, le ricerche minimaliste e analitiche (che slitteranno poi nel concettuale) portavano nell’arte le misurazioni, le catalogazioni, l’attitudine seriale, l’opera d’arte si avviava verso la smaterializzazione, diventava pura idea. Ma il progetto che Opalka stava avviando era oltre la sperimentazione perché totalizzante, radicale e irreversibile, un’impresa epica dove la dimensione umana, artistica, esistenziale si fondono. In una illuminante conversazione con Ludovico Pratesi (Flash Art 2011) l’artista racconta come la decisione sia stata presa in un momento di bilancio della propria vita, e di come avesse capito di dover dare un nuovo significato alla sua azione artistica, che doveva essere più rigorosa possibile. Dove il rigore è la completa adesione come uomo e come artista al proprio progetto. Opalka fa coincidere la propria vita con un’operazione concettuale che mette ancora al centro la pittura, ma la pittura non rappresenta bensì testimonia, misura il tempo limitato di una vita, ed è al contempo il manifesto di una filosofia sul tempo dell’esistenza umana. La mia pittura è la propaganda di un idea. C’è qualcosa di eroico nel progetto che diventa il lavoro di tutta la vita, dipingere un’unica tela frammentata nei tanti giorni dell’esistenza, ed in essa perdersi coscientemente, con grande rigore, legare il destino della pittura al destino della propria immagine, l’una in funzione dell’altra, l’una legata all’altra fino alla fine, fino al dissolvimento del colore sulla tela, fino alla scomparsa del corpo. Io dipingo lo sfumato di una vita. Sottolinea come sia stata una scelta presa in totale libertà rispetto alle logiche del mercato, inesistente in Polonia in quegli anni, e di aver lavorato da quel momento in poi in completa serenità con sé stesso.

Installation view della mostra Dire il Tempo-Roman Opalka, una restrospettiva. ©Roberto Marossi. Courtesy Building Gallery.

Le parole di Paul Valéry “La libertà più grande nasce dal più grande rigore”, sembrano scritte per lui. In Opalka 1965/1- c’è tutto quello che l’artista è stato fino a quel momento consapevolmente e inconsapevolmente: la sua ricerca, l’abilità tecnica, le risonanze culturali della sua terra d’origine, i legami con la sua lingua, le personali inquietudini esistenziali, persino le dimensioni della porta del suo primo studio a Varsavia nella grandezza delle tele, 196×135 centimetri. Tutto converge in una sola direzione. Chiara Bertola analizza i legami dell’artista con le radici: l’avanguardia polacca e dunque con l’influenza dell’avanguardia russa, che attraverso la pittura aveva cercato di stabilire un grado zero, di annullare il tempo storico, portare l’arte alla pura sensibilità pittorica, ( Malevic). E ancora più in profondità, l’eco nel suo lavoro dei temi dell’assoluto, del vuoto e dell’infinito, e della rappresentazione dell’irrappresentabile delle icone. La voce di Opalka risuona negli spazi della Building, ci accompagna mentre esploriamo i Détail pronunciando i numeri in lingua polacca. Parlo francese ma conto in polacco.. si conta sempre nella lingua materna. Osservando le opere esposte alla Building precedenti al progetto del 1965, la serie dei Fonemat (1964) o i Chronome II (1963), ci colpisce il legame forte e personalissimo di questo artista con la materia e la tecnica pittorica che sperimenta in ogni forma. Troviamo in questi lavori le tracce di una percorso, di un bagaglio tecnico-teorico che metterà poi al servizio di un unico progetto: Opalka 1965/1- , dove resta fedele alla pittura e alla materia. Nella serie di acqueforti al secondo piano ritroviamo i segni minuti, frammentati, atomizzati, percepibili solo se guardati a distanza ravvicinata, che vanno a fondersi nell’unità della forma appena ci allontaniamo. Opalka era un bravissimo incisore. Gli elementi della stampa incisa sono il bianco e il nero, la carta e l’inchiostro, inscindibili, l’uno in funzione dell’altro. Il nero dà all’immagine il corpo e il bianco il respiro e la vibrazione vitale. Nei Détail ritroviamo il bianco e il nero, e questa riflessione sulla percezione visiva del frammento e del tutto, l’elemento pittorico e materico sono centrali, lo stesso corpo dell’artista diventa materia dell’opera che il tempo scolpisce, ma tutto diventa metafora per esprimere le relazioni tra il tempo e lo spazio, il finito e l’infinito, l’istante e l’eternità.

La tela nera è il corpo dell’immagine dipinta, della pittura che sfuma progressivamente nel bianco per azione del gesto dell’artista che riduce il colore dell’un per cento, il bianco dei numeri è la vibrazione della vita, della pittura. L’artista agisce sulla tela, come il tempo agisce sul proprio volto. L’immagine di Opalka scompare progressivamente nelle foto in bianco e nero, la sequenza numerica sulla tela diventa bianco su bianco. Il tempo finito dell’uomo che torna all’assenza, e il tempo eterno della pittura che torna alla pienezza del bianco. La successione dei numeri che copre interamente la tela affinché nessuna piccola parte non sia partecipe, rappresentano la durata del tempo. Il tempo del quale ci parla Opalka è il tempo del quale ci hanno parlato Bergson e Proust. Il tempo interiore, il tempo della coscienza. La percezione del tempo e della realtà nella quale viviamo è nello svolgimento, nell’incessante fluire, nella durata interiore. Il senso della durata non può essere racchiusa in una sola immagine concettuale, ma in molte di esse. (Bergson). Rileggendo un bel saggio di una giovane filosofa Gabriella Galbiati, ritrovo un passo della Recherche di Proust, e attraverso la riflessione di Swann sul campanello a casa dei suoi genitori comprendo perché l’opera di Roman ci emoziona e ci coinvolge profondamente :“Quando c’era stato lo scampanellio io esistevo già e, in seguito, perché io lo udissi ancora era necessario che non ci fosse stata discontinuità, che neanche per un istante io prendessi riposo, io cessassi di esistere, di pensare, di avere coscienza di me, poiché questo istante passato mi appartenesse ancora, si che io potevo ancora ritrovarlo, potevo ritornarvi, solo che discendessi più profondamente in me stesso”. E’ esattamente questa l’azione artistica che Roman Opalka ha portato avanti contando e dipingendo i numeri ogni giorno della sua vita, attraverso una performance permanente della durata, della consapevolezza e dell’attesa. Nella numerazione c’è lo svolgersi dei giorni, c’è la consapevolezza del tempo, che possiamo percepire solo nella durata, nell’incessante fluire, e lo spazio finito nel quale si svolgono le nostre vite è solo un frammento del tutto, la nostra vita scorre nel tempo come i numeri di Opalka scorrono sulla tela, ogni nostro istante contiene tutte le dimensioni del tempo: presente, passato, futuro e per questo è impastato all’eternità, siamo frammenti che sfumano nel Tutto che li comprende. La mia pittura è un memento mori costante. Il finito definito dal non finito. Devo sempre pensare alla mia morte, la morte è la percezione del finito. Opalka ha interrotto la sua numerazione spegnendosi il 6 agosto del 2011. Resta il suo immenso messaggio: percepire il tempo ogni giorno, sentire l’eternità nel nostro tempo finito. Sentire l’infinito partendo dalla coscienza del limite.

Per vedere la prima tela Détail 1-35327 e l’ultima Détail 5603154-5607249 (l’ultimo numero dipinto da Opalka su tela bianca) dobbiamo spostarci a Venezia, a Palazzo Querini Stampalia, luogo magico, denso di storia. Le due tele, primo e ultimo atto di questa straordinaria vicenda artistica, sono esposte una di fronte all’altra, e sono in relazione con le opere dei maestri veneti dell’antichità presenti nella collezione che la Fondazione Querini Stampalia ospita ( Tintoretto, Canaletto, Tiepolo.

Dx OPALKA 1965/1 – ∞
Détail 1- 35327
1965
Acrilico su tela, 196×135 cm
Museum Sztuki, Lodz (Polonia)
©Estate di Roman Opalka (Fonds de Dotation Roman Opalka + ADAGP, Paris) 2019
Courtesy Estate di Roman Opalka e Muzeum Sztuki, Lodz
SX_Roman Opalka
Opalka 1965/1 – ∞
Détail 5603154 – 5607249
2010-2011
Acrilico su tela, 196×135 cm
Collezione Lenz Schönberg, Austria
Foto Baschang&Herrmann, Monaco

Sempre a Venezia nel 2011, in una mostra nata dalla collaborazione tra Museo Correr e la Galleria Michela Rizzo, curata da Ludovico Pratesi, un’opera di Opalka (Opalka 1965/1-. Detail 800149-816708) è stata esposta accanto alle Dame Veneziane di Vittore Carpaccio. Nella conversazione con Ludovico Pratesi (sopra citata) l’artista spiegò che la relazione tra la sua ricerca e l’opera di Carpaccio era proprio nella rappresentazione del Tempo. Le Dame Veneziane è uno dei pochi quadri che rappresenta l’attesa, il tempo dell’attesa. Il rapporto con i miei Détail è basato su due diverse maniere di rappresentare il tempo irreversibile della pittura.

Le fotografie in bianco e nero del suo volto, allineate lungo il corridoio di Palazzo Querini Stampalia ci portano dentro la vicenda umana di un artista che ha fatto dell’attesa dell’ultimo giorno, dell’ultimo numero, una fonte di senso, una performance, un’opera d’arte. E’ quell’inevitabile attesa, quel destino che ci accomuna tutti, in quanto esseri umani. Le tele del Tempo sono lì, affidate all’eternità della pittura, testimoniano la ricerca di una vita, ci commuovono e ci fanno riflettere, ci restituiscono il senso profondo del Tempo e di noi stessi.

Immagine in anteprima: Installation view della mostra Dire il Tempo-Roman Opalka, una retrospettiva.

©Roberto Marossi. Courtesy Building Gallery.

www.building-gallery.com

www.querinistampalia.org

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