Pedro Teràn. L’emigrante di Manoa.

Pedro Teràn. L’emigrante di Manoa.

L’ uomo è nato per cercare la sua libertà. L’ uomo non è un essere che fermerà la sua inventiva”. P.T

La storia di Pedro Teràn, artista venezuelano attualmente in asilo politico in Italia, è la storia di una lunga ricerca artistica  che dagli anni sessanta ad oggi ruota attorno alla complessità di concetti fondamentali come l’identità e la libertà. In ogni suo campo di indagine, che sia la consapevolezza di noi stessi e degli altri, la percezione del mondo che abitiamo, le verità della storia, Teràn mette in evidenza l’impossibilità di una visione univoca, ci porta a riflettere sulle tante sfaccettature della realtà, sulla relatività delle convinzioni, sulla necessità e la ricchezza dei molteplici punti di vista. Attraverso le sue opere realizzate sperimentando diverse tecniche e linguaggi: pittura, autoritratti, fotografia, body art, performance, installazioni, fino alle sculture degli ultimi anni, Teràn crea situazioni spaesanti, le immagini e gli oggetti rovesciano le abituali prospettive, sovvertono la percezione, veicolano il pensiero oltre ciò che stiamo guardando, suggeriscono la dualità insita in tutte le cose, propongono un senso diverso del tempo e dello spazio. Nella narrazione i riferimenti agli elementi, agli archetipi, all’energia, riportano ad una dimensione (antica e perduta) di equilibrio tra uomo e natura, tra anima e corpo, recuperando la dimensione spirituale, il senso magico e segreto che unisce l’uomo alla terra, il visibile all’invisibile

Confluiscono nell’opera di questo artista tutti gli aspetti legati alla sua ricca esperienza di vita e alla sua eclettica formazione culturale; studioso dell’arte occidentale, in contatto con le avanguardie artistiche europee, antesignano dell’arte concettuale in Venezuela. Molte le consonanze e le risonanze nei lavori di Teràn di artisti e di movimenti artistici che sono state per lui importanti (Giovanni Anselmo, Yves Klein), tuttavia i riferimenti espliciti e le citazioni sono punti di partenza per rielaborare simboli e significati portandoli nel contesto più ampio della propria cultura e della propria esperienza di artista profondamente legato ad un Paese che ha nella propria storia la colonizzazione, e che si è dunque impastato sulla multietnicità e sul multiculturalismo. Nei lavori di Teràn la figura del mito, e delle leggende legate alla storia delle civiltà precolombiane, ai conquistadores, all’epopea dei cercatori d’oro, vengono utilizzate per analizzare la realtà di un Paese che ha visto fallire il cammino di democratizzazione. Nelle sue sculture di marmo e cemento a volte si apre una crepa, una ferita, una separazione, e la materia pittorica rossa densa non sanguina verso il basso, sfida la gravità e segue un movimento ascensionale, come a sublimare il dolore perché l’arte ha la capacità di fare di un dolore personale una riflessione comune e un insegnamento universale, verso la libertà.

Nella lunga conversazione che ho avuto con lui nella sua casa di Viterbo, dove attualmente vive, Pedro Teràn racconta la sua lunga carriera artistica.

Pa- Quarant’anni di ricerca artistica, sei attivo dalla fine degli anni sessanta, numerose le tue partecipazioni alle esposizioni internazionali d’arte (VIII biennale si San Palo, Brasile 1985-Biennale dell’Avana, Cuba 1991- Biennale Mercosul, Porto Alegre..), hai esposto alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Caracas in Venezuela, per citare qualche tappa della tua carriera.. Nelle tue opere hai utilizzato tutti i media ma la tua presa sul mondo è sempre concettuale, sei considerato un antesignano del concettuale nel tuo paese il Venezuela…

Pedro- Voglio subito dirti che non voglio essere etichettato come artista concettuale, non mi sento un artista concettuale ortodosso che non ha più la libertà, la possibilità di inventare altre cose. Limitarsi al concettuale lo ritengo una limitazione alla mia espressione. Quando ho iniziato a lavorare come artista alla fine degli anni sessanta era mio desiderio non legarmi ad una tecnica o ad uno stile particolare, poiché credo che questo sia un modo di lavorare che è più legato al mercato dell’arte. L’arte è prima di tutto una espressione di libertà. L’uomo è nato per cercare la sua libertà, l’uomo non è un essere che può fermare la sua inventiva. Nel 1964 sono venuto per la prima volta in in Italia, studente all’Accademia di Arte di Roma. Ho cominciato con l’autoritratto, in realtà era già una interrogazione sull’identità, il mio sguardo era interiore. Ero come Narciso senza avere l’acqua per guardarmi, la mia acqua erano le tele. Ho abbandonato il figurativo nel 1968, ho iniziato a sperimentare i nuovi media, e anche il corpo. All’inizio degli anni settanta tutto era in fermento, si ragionava sul rapporto Arte/Elementi, l’arte è una situazione che individualmente o collettivamente ha a che vedere con l’inventiva, la creatività.

Pedro Teràn, Arte e gli elementi, 1971

L’artista usa gli elementi e i materiali come un alchimista, li combina per rendere una nuova realtà. Nel mio lavoro di quegli anni usavo i materiali, ma era un lavoro fortemente concettuale, rappresentavo il mio rapporto con l’ambiente, la natura. In un lavoro del 1972 Camminando un anno, (1971-72) è la documentazione fotografica di una performance che è durata un anno, analizzo il rapporto del mio corpo con il paesaggio, un paesaggio che io vivevo ogni giorno, una strada che io percorrevo ogni giorno. La riflessione era: devo rappresentare questo paesaggio o è il paesaggio dentro di me? Fermare, rappresentare il tempo e lo spazio.Ero vicino alle posizioni concettuali, andare oltre l’oggetto era importante, sperimentare i nuovi media come la fotografia comportava già una distanza dall’oggetto fisico, poi con il tempo ,però, sono tornato all’oggettualità.

Pedro Teràn, Caminando un anno, 1971-72

Pa- Siamo negli anni settanta, i media cominciavano ad essere preponderanti, la società diventava veloce..Gli artisti sentivano l’esigenza di usare i nuovi linguaggi ma di sottolineare il fatto che la percezione del tempo stava cambiando..

Pe- L’arte non è altro che il riflesso del suo tempo, quello era un momento in cui stavano cambiando le cose, c’era il problema del rapporto con le nuove tecnologie, la preoccupazione politica nell’arte che tutto stava cambiando. Il mio lavoro rappresenta ed anticipa queste riflessioni. Sempre in quegli anni, ho soggiornato a Londra ed ho cominciato a lavorare con il corpo, il corpo era un ente politico attraverso il quale canalizzare riflessioni sull’identità.  In Art, autoritratto (1972), in Alfabeto del corpo (1973) esploravo il corpo attraverso la fotografia. Lavorare con il corpo era ancora un modo per andare al di là dell’oggetto artistico, al di là della pittura e della scultura, dei linguaggi convenzionali. Era una scelta precisa, era un’altra ricerca. Mi interessava la rappresentazione fotografica del tempo e dello spazio. Mi interessava stabilire rapporti con il lavoro di altri artisti, Yves Klein mi affascinava molto, volevo esprimere qualcosa attraverso la tecnologia del tempo, (la fotografia, la Polaroid), ma questi lavori sono molto concettuali, in opere del 1977 come Polograma o Blu il mio lavoro ha a che vedere con la pittura ma è molto astratto. Sono lavori astratti che non vogliono essere guardati ma interrogati, letti.

Pedro Teràn, Polograma, 1977

Non è guardare ma farsi domande, io volevo che l’altro potesse arrivare a capire il mio percorso mentale. L’arte è questo per me: lo devi scoprire tu che guardi. Attivare la mente dello spettatore. La mia esigenza è rimasta quella di cambiare medium e materiali e tecniche per esprimere nuove cose.

Pa- Qualche anno più tardi nel 1981 concepisci una performance Nuvole per Colombia dove ti dipingi completamente d’oro con un preciso riferimento al mito di El Dorado…il tuo lavoro prende una direzione più marcatamente politica?..

Pedro- I lavori sul corpo, presentati in Colombia, il corpo e il mito El Dorado, sono stati un modo per analizzare il rapporto con il passato. Così come nel passato, il rapporto di spiritualità è necessario nel presente, è importante se vogliamo essere umani, indagare il senso religioso della vita. Il mito non ha tempo, eppure ci parla della realtà. Parlare del mito vuol dire mettere sul tavolo le questioni importanti della vita. Tutta l’arte è politica, non esiste un’arte che non sia politica, ogni tanto c’è bisogno di sottolineare delle cose, ma l’arte è libera. Certo, io sottolineavo quale possibilità di espressione ci fosse per l’arte nel contesto venezuelano, se l’artista ha qualcosa da dire, come dirlo? Può dirlo?

Pa- Sempre nel 1981 la performance Studio sul Torso, nella Galleria Nazionale D’Arte Moderna di Caracas….

Pedro Era una situazione molto eloquente…ero legato e imbavagliato, coperto da un manto bianco, la galleria apriva la mattina, e un altro performer mi toglieva il manto.

Pedro Teràn, Studio sul Torso, 1981

La reazione del pubblico era forte e diversa, qualcuno mi toccava, ma io non potevo parlare. Era un’azione dentro la Galleria di Arte Nazionale, (allora presentava soltanto lavori tradizionali), e questa mostra ha avuto un aspetto politico, ci hanno dato un giorno per organizzare la mostra e noi abbiamo colto al volo l’opportunità. Lì ho pensato che sì , potevamo, possiamo cambiare la realtà, le cose attraverso l’arte. O comunque possiamo dare un’altra consapevolezza, un’altra prospettiva.

Pa- Era possibile fare queste cose in Venezuela in quegli anni?

Pedro- Difficile ma possibile, era difficile ma noi volevamo fare questo

Pa- Hai realizzato grandi installazioni dove i materiali ti servono per creare dicotomie, contrasti, che destabilizzano la normale percezione, invertono il senso e portano il pensiero a stabilire relazioni tra pieno-vuoto, pesante-leggero, presente-assente, vero-falso…

Pedro– In questi giorni ho visitato la mostra di Giovanni Anselmo a Roma, all’Accademia di San Luca. Mi interessa molto Giovanni Anselmo perché per me è stato un ponte intellettuale con l’Italia. Con lui i lavori sono in una dualità, non è il materiale ma anche l’immaterialità, non è solo il limite, ma anche l’illimitato, è uno stimolo all’immaginazione. La mia ricerca ha molte affinità con la sua. Negli anni ottanta e novanta ho concepito installazioni dove lo spazio naturale , lo spazio culturale, lo spazio architettonico dialogavano insieme: scultura, natura, cultura,  Esculturaleza (1986), o mostre nelle quali poteva entrare un visitatore alla volta a visitare grandi installazioni concepite per ribaltare la percezione, la sensazione delle cose, dello spazio, ribaltare il mondo.

Pedro Teràn, Universo de Manoa, 1990

Vedevo le reazioni dei visitatori, a volte uscivano indifferenti, a volte turbati, ma io sono convinto che in tutti si è prodotto una reazione, un impercettibile cambiamento. Negli anni novanta eravamo un gruppo di giovani artisti in Venezuela, avevamo interesse ad avere una relazione non tradizionale con l’arte. Oggi in questa situazione politica è molto difficile dire con libertà qualcosa. La situazione in questo momento è molto difficile.

Pa- Metti spesso in connessione il passato e il presente, parlare della Storia attraverso il mito è un’altra direzione del tuo lavoro..

Pedro- Nel 1991 iniziai a pensare ad un intervento di arte pubblica (Le scale di Manoa –1991-1994) molto ambizioso, ho insistito tanto e alla fine sono riuscito a realizzare questo progetto. Ho dipinto il fronte di tutta la scalinata in oro. Salendo vedi solo l’oro ma arrivi in alto e l’oro sparisce, quando ti volti per tornare indietro, l’oro non lo vedi più, ma vedi il fiume Orinoco, che è il vero protagonista della narrazione poiché è il simbolo della saga dei cercatori d’oro, del mito di El Dorado. La riflessione sull’identità si intreccia a quella sul tempo: cos’è il tempo? Cos’è il passato? Ci serve il rapporto con il passato? Il mito è fuori dal tempo, il mito è l’eternità. Il mito non ha tempo, eppure ci parla della realtà. L’opera è una metafora sul tempo, sull’identità di un popolo, ma anche una riflessione sulla necessità di trascendere la materialità. Un aspetto di questa opera è la volontà di collegare una parte della città con l’altra, la città moderna con la città coloniale. E’ il nesso tra passato e presente, è un modo simbolico di spostarsi nel tempo nello spazio della Storia.

Pedro Teràn,  Le Scale di Manoa, 1991-1994

Pa- Nei tuoi lavori sono presenti molti riferimenti alla storia dell’arte italiana, in particolare nella mostra L’emigrante di Manoa che hai fatto a Milano nella galleria di Federico Luger lo scorso anno..

PE- In Venezuela abbiamo un rapporto molto stretto con l’Italia. L’influenza italiana sulla cultura venezuelana è molto importante per me. Credo che nella costruzione della modernità in Venezuela, la cultura italiana abbia avuto una grande importanza. In occasione della mostra di Milano allora mi sono detto: vorrei prendere tre artisti italiani che ho avuto dentro di me, sui quali ho riflettuto: Giorgio Morandi, Mantegna , Leonardo, e rendere un omaggio anche alla storia dell’arte italiana e alla città dove si svolgeva la mostra. Quello che volevo fare era partire dalle opere del passato per dire altre cose, dare nuovi significati, e una nuova visione. In Mora Morandi è un lavoro oggettuale che si riferisce ad un artista, ad un linguaggio e a un genere artistico del passato (la natura morta), ma qui le bottiglie dipinte nelle nature morte di Morandi diventano sculture e sono capovolte, sono oggetti che non hanno la loro posizione “tradizionale”, è così che comincio a stimolare il pensiero dell’altro.

Pedro Teràn, In Mora Morandi, 2018

La mia opera Cenaculo (2018) è un omaggio al capolavoro di Leonardo che appartiene a tutti noi. Ma noi possiamo dire ancora alcune cose sul Cenacolo, qui vorrei che il Cenacolo stesso ascendesse al cielo. Nell’opera, la pittura sulla parete ha un movimento ascensionale, l’ascensione serve ad esprimere il concetto di sublimazione del corpo, del pensiero. Anche le opere possono essere sublimate e trascendere.

Pedro Teràn, Cenaculo, 2018

Pa- Qual è la direzione della tua arte oggi? Qual è la tua libertà?

Mi interessa fare qualunque cosa con qualunque cosa, possiamo ampliare il nostro pensiero attraverso le cose, l’obiettivo del fare artistico non è il mercato, ma possiamo esprimerci attraverso gli oggetti e stare dentro il meccanismo del mercato, non capisco il recente scandalo sulla banana di Cattelan. Penso si possano esprimere contenuti in qualunque modo, in qualunque situazione. Posso lavorare con i concetti o con l’oggetto. L’oggetto mi permette di veicolare contenuti, la mia libertà espressiva è questa. Ho esposto sedie in circolo dove non c’è nessuno. Si parla dell’assenza, del vuoto, dell’immaterialità. Ogni cosa rimanda al concetto opposto, mi interessa la verità che può emergere dal confronto. In una delle mie ultime opere Leggenda dorata Leggenda Nera (2018) rifletto sulle due diverse visioni del colonialismo spagnolo in America, una buona e una cattiva. Credo che la verità storica non si possa ridurre a queste interpretazioni della storia, che è molto più complessa..

Pedro Teràn, Leggenda Dorata Leggenda Nera, 2018

A questo punto del mio percorso lavoro con tutti i linguaggi, senza pregiudizio, quello che conta è il contenuto dei miei lavori, il messaggio. E’ la libertà che mi interessa.

Questo bicchiere che poggio qui, in questo spazio, in questo momento, è un oggetto ma c’è qualcosa dietro l’apparenza, dietro questa realtà, questa energia di questo momento mi interessa.

Tutte le immagini presenti nell’articolo, Courtesy @Pedro Teràn

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